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INTERVISTE

FABRIZIO GIFUNI
"Quando il dolore diventa pubblico"

in "Il Gazzettino", 11 aprile 2012, p. XXXII.

Venezia

“L'Ingegner Gadda va alla guerra (o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro)”, in scena da stasera al Teatro Goldoni fino a domenica 15 aprile, è una piéce tratta da Carlo Emilio Gadda e William Shakespeare per la regia di Giuseppe Bertolucci. Sul palco Fabrizio Gifuni, fra gli attori italiani più intensi della scena odierna (non a caso Marco Tullio Giordana l’ha scelto per la parte di Aldo Moro nella fortunata pellicola “Romanzo di una strage”). A Gifuni, che domani giovedì 12 aprile alle 19.30 interverrà anche al Teatro de Frari in una conversazione aperta al pubblico, abbiamo posto alcune domande.

Come è iniziato il sodalizio con Bertolucci?

«Verso la fine degli anni anni Novanta per un’esperienza radiofonica, poi è proseguita al cinema con “L’amore probabilmente” presentato proprio a Venezia, infine sono stato io a proporgli una collaborazione in un progetto teatrale su Gadda e Pasolini, che credo concluso proprio con questo spettacolo».

L’idea di fondere Gadda e Shakespeare?

«Scaturita da una lettura molto approfondita della “Cognizione del dolore”, il romanzo più personale e autobiografico di Gadda, nel quale il protagonista Gonzalo Pirobutirro mi pareva una rilettura del paradigma di Amleto. Quest'ultimo legato idealmente a Gadda da alcuni motivi: la nevrastenia, la melanconia, la propria statura intellettuale all’interno di un mondo in disfacimento, ma anche il rapporto malato e terribile con la propria madre…. Infine, sia Amleto che Gadda, per superare i rispettivi dolori, sovrappongono al temperamente già nevrotico una simulata pazzia. Che, per Gadda, consiste nell’invenzione e nello scatenamento della più incredibile lingua dai tempi di Dante, non tanto figlia dello sperimentalismo, quando di una ferita profonda».

Oggi Gifuni ha più soddisfazioni dal cinema o dal teatro?

«Con il cinema mi diverto moltissimo nel gioco dell’interprete puro, che sparisce dietro un personaggio, nel teatro il mio lavoro è più complesso, prevede l’ideazione, la drammaturgia, la parte intepretativa è solo l’ultima. A teatro posso dire di sentirmi più a casa, ma sono due territori diversi che mi piace alternare, e per un attore è davvero salutare».

Riccardo Petito