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“Fur”. Progetto incompiuto non privo di suggestioni visive

"Carte Scoperte", n. 9, novembre 2006, p. 10.

“Secretary” non era stato un film riuscitissimo, eppure la storia d’amore a sfondo sadomaso diretta da Steven Shainberg, tra un datore di lavoro e la sua segretaria, lasciava soddisfatto il voyeurismo dello spettatore. Ora il suo recente “Fur”, immaginaria storia della fotografa statunitense Diane Arbus, interpretata dalla brava Nicole Kidman, qui però più statica che in altre prove, dimostra come un progetto vincente sulla carta non sempre si trasformi in un buon film. Forse, i presupposti non erano dei migliori: gli eredi della Arbus, infatti, non hanno concesso i diritti di mostrare le foto reali da lei scattate, così nello spettatore occasionale sorge il dubbio su quali siano state le reali capacità fotografiche della protagonista.
Elementi reali non ne mancano: Diane era realmente figlia di ricchi pellicciai, sposata con un noto fotografo dal quale ha avuto tre figli. Tutto riportato nella biografia della Arbus scritta da Patricia Bosworth, che ha ispirato la sceneggiatura della pellicola. Immaginario è però l’incontro con il vicino di casa Lionel, affetto da ipertricosi, interpretato da un eccellente Robert Downey jr, così da risultare ricoperto soprattutto nel viso da una sorta di “pelliccia”. A quest’ultimo infatti, oltre alla famiglia di provenienza della Arbus, gioca il doppio rimando del titolo “Fur”, pelliccia appunto.
Purtroppo, in questo caso, il primo immediato richiamo che viene in mente allo spettatore è quello alla fiaba della “Bella e la Bestia”, ma forse una lettura sociologica si indirizzerebbe preferibilmente sulla crisi della borghesia americana e della futura liberazione femminista. Il film rimane sospeso però tra tentazione documentaristica dell’ambiente di freaks che la protagonista e il vicino “mostruoso” iniziano a frequentare, che proprio lei ritrarrà in infiniti scatti parte dei quali assai noti nella storia della fotografia, e una patinata descrizione visiva di una vocazione alla devianza.
Diane Arbus è una figura assai più controversa di quella raccontata nel film: nella realtà morirà infatti suicida nel 1971, particolare che contribuirà ad alimentarne la leggenda. Né fu immune da eccessi, che il film lascia solo presagire. La Kidman interpreta in verità solo il conflitto interiore vissuto da una donna borghese, il suo desiderio di fuga da una realtà domestica divenuta stretta ma, come suddetto, lo fa con relativa convinzione.
Le inquadrature scelte da Shainberg non sono mai scontate (compreso l’uso deformante del grandangolo, soprattutto nel ritrarre i corridoi del palazzo dove vivono i protagonisti), e trasmettono sempre allo spettatore la sensazione di “spiare” qualcosa. Rimando obbligato, purtroppo per Shainberg, è l’indimenticato “Freaks” di Tod Browning, ma il paragone non è opportuno per la distanza di qualità. È un peccato, perché “Fur”, presentato come film di apertura alla Festa internazionale del Cinema di Roma lo scorso mese, si dimostra una operazione riuscita solo in parte, e che forse con qualche piccolo ritocco alla sceneggiatura poteva risultare “cult” negli anni a venire.

Riccardo Petito