Torna alla Home Page
Clicca sopra per ingrandirlo!
Clicca sopra
per ingrandirlo!
"


Pagina in costruzione
CINEMA CINEMA CINEMA

Muccino sorprende con un film degno della miglior tradizione americana

"Carte Scoperte", n. 01, febbraio 2007, p. 10.

Diciamo subito che Muccino è tra i migliori nomi che il cinema italiano possa esportare. I suoi esordi sono stati quasi completamente dimenticati, ma sono pregevoli: si tratta di “Ecco fatto” e “Come te nessuno mai”, anche se molti non hanno perdonato al regista, riguardo quest’ultima pellicola, di aver lanciato suo fratello Silvio. Parlare di Muccino significa parlare de “L’ultimo bacio” e “Ricordati di me”, ottime descrizioni realistiche di due mondi vicini a molti, l’eterna sindrome di Peter Pan dei trenta quarantenni e della vocazione “velinica” di molte ragazze. Diciamo anche che una velina in carne e ossa, la splendida Elisabetta Canalis, ha occupato la scorsa estate le pagine dei giornali rosa, e non solo, per una love story con il regista, creando attorno a Muccino un’aura da rotocalco che gli ha sicuramente giovato nel lancio dell’ultimo film, di cui parleremo tra un istante. Prima però, un ultimo “ricordo”: Muccino è stato, nel 1997, anche il regista di buona parte delle puntate della prima serie di “Un posto al sole”, soap all’italiana tutt’ora in programmazione all’ora di cena su RaiTre, prodotta dal geniale Giovanni Minoli. Perché questa lunga premessa? Per dimostrare come la varia provenienza di Muccino, e il suo artigianato acquisito sul campo, ne fanno non solo un regista cerebrale (altri lo fanno meglio, vanno citati ad esempio Paolo Sorrentino e Matteo Garrone), ma soprattutto una figura abile nel fondere messaggi con gusti del pubblico.
La storia del sogno americano portato a buon fine da Christopher Gardner ad esempio, disoccupato di colore nella San Francisco negli anni Ottanta, con figlio a carico dopo esser stato abbandonato dalla moglie, e infine divenuto genio della borsa, trama essenziale dell’ultima pellicola “La ricerca della felicità”, è girata con rara maestria. Se Will Smith, l’interprete principale, ci era finora parso piuttosto esagerato nelle interpretazioni, qui dimostra invece ottime capacità drammatiche. Il figlio di Will Smith poi, è già un giovanissimo e superbo attore. Ingredienti che contribuiscono in maniera massiccia al successo del film, campione di incassi negli Stati Uniti, a ben sperare per future prove registiche oltreoceano di Muccino.
Parte sicuramente tra le più riuscite (“Il Monello” di Chaplin torna costantemente nel pensiero dello spettatore) è l’ambientazione: la San Francisco povera del quartiere cinese. Se in televisione per qualche istante si intravede Ronald Regan, l’umile asilo frequentato dal figlio, riporta immediatamente l’altra faccia della medaglia del periodo dorato, che però sarà raggiunto nel finale. Come? Correndo. L’azione del “correre” infatti, è la più ricorrente, e rappresenta in pieno, come suddetto, il percorso di un “self made man” verso il raggiungimento del sogno americano, l’affermazione, il successo, i soldi. Forse, la “felicità” del titolo pare essere questa, non solo aver garantito un futuro borghese al bambino che ha condiviso difficoltà enormi con il proprio padre, compreso il dormire e mangiare in strutture di ricovero per poveri (ecco tornare “Il Monello”). Sicuramente si tratta della miglior interpretazione di Will Smith, candidato, non a caso, all’Oscar quale miglior attore.

Riccardo Petito