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“In memoria di me”. Saverio Costanzo alla ricerca dell’interiorità

"Carte Scoperte", n. 02, aprile 2007, p. 12.

Smarrimento è la parola chiave del nuovo film di Saverio Costanzo, “In memoria di me”, interamente ambientato nell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. Lo smarrimento che il regista presuppone proprio dei giorni nostri, e che il giovane protagonista Andrea (interpretato da Christo Jivkov) ha provato di fronte alla vita quotidiana (nella quale, afferma, non si era fatto mancar nulla). Tanto, da indurlo alla ricerca di un nuovo equilibrio interiore, riscoprendo la fede e sottoponendosi al noviziato nella comunità religiosa di Gesuiti proprio nell’isola di San Giorgio (dove in molti sapranno vi è una vera comunità benedettina), in vista di un possibile sacerdozio.
Il soggetto del film nasce da un romanzo, “Il gesuita perfetto”, scritto da Furio Monicelli nel 1960. L’ambientazione chiusa, supportata da una fotografia volutamente giocata su un forte contrasto tra luce e ombra, come pure un sonoro che, al silenzio, contrappone ed amplifica rumori esterni anche minimi, permette allo spettatore di calarsi nell’atmosfera “mistica” voluta da Costanzo. I dubbi del protagonista sono gli stessi che si trasmettono allo spettatore. Il microcosmo dei novizi, con sacerdoti in alcuni casi pronti a mentire per il bene della comunità (ad esempio sulle ragioni di alcuni abbandoni di vocazione) rispecchia forse il mondo esterno. Le diverse figure presentate nel film, alla ricerca della verità cristiana e della propria interiorità nel silenzio e nella preghiera, non sono così diverse, nei loro pregi e difetti, da quelle presenti nel mondo circostante. Le tensioni, la maggior parte delle quali trattenute, portano a comportamenti anomali all’interno della comunità che si è creata. Il protagonista, disinvolto e dall’affascinante volto, lascia presagire un passato di possibile successo. La sua superbia è anche questa, volere qualcosa in più dei suoi coetanei. L’ambientazione è curatissima: si passa dal lungo corridoio con le celle singole (una delle porte apre alla misteriosa infermeria), al refettorio, alla biblioteca, alla chiesa. La sorveglianza dei padri superiori è costante, e il mondo che si spalanca dinanzi ad Andrea non è così puro come può sembrare.
Il trentenne Saverio Costanzo ha dimostrato un notevole coraggio nel girare questa pellicola. Forte del successo del precedente e premiato “Private” (con ambientazione nel conflitto israelo-palestinese), ha preferito trattare una vicenda interiore e chiusa. Il film, i cui dialoghi sono sempre ben calibrati (e alcune disquisizioni teologiche ben divulgate al fine di esser comprese), pecca di semplificazioni soprattutto nel simbolismo inserito in certe scene: ad un novizio morente nell’infermeria (lo si vedrà solo in controluce quasi ridotto a scheletro o con una rapida inquadratura del volto sofferente) un compagno affigge alla parete un inquietante (diabolico) volto disegnato, che replicherà in più forme nella sua cella, e che Andrea osserverà poco prima di lasciare l’isola. Lo spettatore rimane incerto. Forse sono indice del peccato che ha originato la malattia? Le suggestioni sono forti, l’uso della musica barocca straniante, come pure il passaggio delle navi nel Bacino di San Marco e i fuochi d’artificio della Festa del Redentore, o ancora le luci della riva opposta all’isola, di notte. Il convento è vissuto quasi si trattasse di una fortezza dell’interiorità nei confronti del mondo esterno che, però, non può essere in alcun modo cancellato.

Riccardo Petito