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Disimpegno da commedia "Made in Usa" e una buona pellicola italiana
"Carte Scoperte", n. 05, dicembre 2007, p. 8.
Classico film di disimpegno, genere di cui raramente ci siamo occupati, “Lo spaccacuori” di Bobby e Peter Farrelly, con l'ormai celeberrimo Ben Stiller, merita qualche riflessione: se non altro, per monitorare le recenti prove statunitensi nel campo della commedia romantica a tratti demenziale, capace di mescolare più generi. Due premesse soltanto: si tratta di un remake di una pellicola del 1972, scritta da Neil Simon e diretta da Elaine May (non vista da chi scrive); la coppia di registi è la stessa del riuscitissimo “Tutti pazzi per Mary”, vero lancio internazionale per Stiller.
La trama è presto detta né, come da consuetudine, verrà “dettagliata” rovinando sorprese: diciamo che sotto le lenti dei fratelli Farrelly finiscono i surreali guai sentimentali del protagonista Eddie, amplificati in modo irreversibile durante (o meglio, dopo solo una settimana) il viaggio di nozze in Messico.
Una terza premessa: da evitare la visione del trailer, specie nella versione ampliata che circola su Internet, perché vi compaiono già le migliori scene, e si rischia di rovinare sorprese. Equivoci, malintesi, battutacce “da caserma”: il mix promette molto, ma mantiene poco. Ciononostante, non si può dire sia un film poco scorrevole e, soprattutto, che certe trovate non siano ben congegnate (come il tavolo per single al matrimonio della ex, la medicazione “naturale” da puntura di medusa, o il finale). Politicamente scorretta, ma sempre con humour mai sotto le righe, la scenografia messicana. Altre trovate, e sono la maggior parte, hanno però un sapore di già visto.
Meglio pertanto indirizzare il proprio interesse cinematografico ad un godibile film italiano, “La giusta distanza” di Carlo Mazzacurati, presentato alla recente Festa del Cinema di Roma. Ambientato in un paesino alle foci del Po, è incentrato su una tragica storia d'amore, quella tra il meccanico tunisino Hassan e una giovane insegnante, Mara, destinata a trascorrere nella profonda provincia del Nordest un breve periodo. Giovanni, aspirante giornalista in erba, aiuterà a dipanare l'intera vicenda.
Mazzacurati si dimostra regista di vero spessore, anche se non sempre facile si dimostra il giusto compromesso tra intenzione poetica, cronaca quotidiana, critica sociale, giallo: molta carne al fuoco, tuttavia cucinata assai bene e con una perizia rara nelle produzioni italiane (eccettuato il finale rassicurante, si può dire analoga a quella di Silvio Soldini nel riuscito “Giorni e nuvole”, di cui ci siamo già occupati). Se confronto si può azzardare, forse “La giusta distanza” si avvicina al recente “La ragazza del lago” dell'esordiente Andrea Molaioli, visto all'ultima Mostra del Cinema di Venezia: in entrambi, la chiave del delitto serve a leggere il tessuto morale dei protagonisti del paesaggio-quinta teatrale.
Tematiche quali solitudine, immigrazione, spleen di paese, ridicolo rampantismo ma soprattutto rancori sommersi e voglia di fuga, si sposano assai bene con il contesto ben fotografato da Luca Bigazzi. Ahmed Hafiene e Valentina Lodovini sono ottimi protagonisti esordienti. A proposito, il titolo: la “giusta distanza” è quella che un giornalista dovrebbe avere rispetto alla materia trattata. Fra gli sceneggiatori compare anche Claudio Piersanti, fra gli scrittori italiani di maggior talento.
Riccardo Petito |