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"Factory Girl", l'altra faccia di Andy Warhol
Un antidoto ai "cinepanettoni" del Natale appena trascorso
"Carte Scoperte", n. 03, febbraio 2008, p. xx.
Nonostante l'alterno "Factory Girl" di GEorge Hickenlooper ripercorra la vicenda umana e artistica della sfortunata icona pop Edie Sedgwick, il protagonista rimane sempre lui: Andy Warhol. In questo il film è pienamente riuscito: l'artista infatti, è stato il catalizzatore di ambienti e figure che gli ruotavano attorno. Tutto e tutti dovevano essere funzionali ad accrescere la sua celebrità, a controbuire alla riuscita del suo progetto. Nomi come quello di Edie Sedwick sono rimasti incisi nella storia della cultura statunitense degli anni Sessanta, ma a ben pensarci, già il titolo "Factory Girl" fa capire come la fama sia legata a quella del loft creativo di Andy Warhol (nella realtà la sede non fu una sola) e, quindi, a quest'ultimo. Fu lui a farla "sperimentare" nei suoi film sperando, si lascia intendere, che oltre alla sua bellezza usasse anche il ben fornito portafogli di famiglia, per finanziare lavori.
Altro momento delicato del film, il rapporto della Sedwick con Bob Dylan. Da approfondire il rapporto tra quest'ultimo ed Andy Warhol che, forse, invidiava la fama della rockstar. E chissà se, con i Velvet Underground, Lou Reed e Nico (che "sostituì" il ruolo della Sedwick alla Factory), il re del pop non cercasse di eguagliare il successo di Dylan anche in campo musicale. Possiamo dire che, anche in questo caso, il risultato fu comunque egregio. Da Lou Reed e Bob Dylan sono giunte alcune critiche alla pellicola: Dylan ha pure cercato di bloccarne l'uscita, la sua figura infatti ne esce controversa, la rottura della sua relazione con la Sedwick sarebbe infatti una delle cause della caduta nel degrado fra droghe e alcol, che la giovane Edie si sarebbe autoinflitta. Ma siamo sempre nel campo delle supposizioni.
L'attrice protagonista, Sienna Miller, pare si sia calata nei panni della tragica figura dopo attenta documentazione; su questo, nulla possiamo dire, mancando (a parte diversi filmati e testimonianze) le prove concrete.
Vero è che lasciò segni nella moda, la direttrice di VOgue del tempo, Diana Vreeland, la volle nella sua scuderia, e alcune pose e abiti del periodo fecero scuola. Tuttavia notevole è il valore documentario della ricostruzione degli ambienti. Sicuramente, da affiancare a "Basquiat" (1996) di Julian Schnabel, artista peraltro vicino a Warhol. E, in effetti, l'interpretazione di quest'ultimo nelle due pellicole, rispettivamente da parte di Guy Pearce e David Bowie, risulta abbastanza simile. La parte "psicanalitica" rimane la meno riuscita, sebbene gli abusi ad opera del padre o i ricoveri clinici, siano dei particolari reali. Quanto all'eredità artistica, Edie Sedwick negli Sessanta fu la protagonista di vari esperimenti di Warhol, più apprezzati oggi che allora. Vero neo, forse, la colonna sonora: brani storici dell'epoca (dei Velvet Underground in primis) avrebbero sicuramente portato un fondamentale contributo nel ricreare un periodo artistico che non ha mai smesso di affascinare.
Riccardo Petito |