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"Tutta la vita davanti". Il lavoro precario nella lente di Paolo Virzì

Carte Scoperte, n. 03, maggio 2008, p. 10.

Qualche limatura avrebbe sicuramente giovato a “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì (tratto da “Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria” di Michela Murgia), con il quale uno dei registi italiani di maggior talento (autore dell’ottimo “Caterina va in città”) si ripropone sul grande schermo con il genere commedia all’italiana, dopo il non proprio brillante tentativo storico dedicato a Napoleone con la presenza di Monica Bellucci.
Al termine di “Tutta la vita davanti” rimane un’ottima quanto inaspettata prestazione di Sabrina Ferilli, la conferma di Massimo Ghini, i meno credibili Valerio Mastandrea (altrove bravissimo) ed Elio Germano (troppo esagitato nonostante lo richiedesse il carattere), candidato astro nascente tra gli emergenti, e la bellezza di Micaela Ramazzotti. Un po’ forzata risulta la voce fuori campo di Laura Morante, e più di qualche sviluppo della vicenda (la sceneggiatura affianca Virzì a Francesco Bruni, suo abituale sodale), sovraccarica, con tanto di conclusione grottesca e sanguinolenta.
Il mondo del precariato è alla base della pellicola: la ventenne Marta, laureata in filosofia, cerca inutilmente lavoro, lo trova in un call center della ditta Multiple, per la quale vende robot da cucina con ottimi risultati, tanto da stupire la responsabile, interpretata dalla Ferilli. Sarà il sindacalista con il volto di Mastandrea a far precipitare una situazione dove il mobbing è all’ordine del giorno. Vicende professionali e umane sono inevitabilmente legate, e i messaggi lanciati si susseguono: scarso valore dei titoli di studio, televisione cattivo modello, difficoltà lavorative che spesso sfociano in scelte estreme.
Molta la carne al fuoco, compresi tentativi di fusione di cultura alta e bassa, nell’interpretazione di una realtà che sfugge a logiche classiche: la verità è che si vive in tempi di estremo disagio, e certe scelte scriteriate a tavolino, possono essere intraprese per disperazione o mancanza d’altro. La spada di Damocle del rinnovo del contratto poi, porta ad un annullamento di diritti, che ovviamente richiedere al datore di lavoro sarebbe controproducente. Grande assente in tutto ciò, ovviamente, lo Stato. Virzì tuttavia nella sua critica non esclude nessuno, né rinuncia a qualche battuta sui sindacati: ambigua a tratti è la figura di Mastandrea, il suo agire è sì vocazione ma anche mestiere (e mette a repentaglio il posto di lavoro di alcune centraliniste “collaborazioniste” o ritenute tali), ma soprattutto è un fedifrago che non si fa scrupoli a tradire la moglie per la bellezza della Ramazzotti, sua “assistita”. “Tutta la vita davanti” è pertanto un film coraggioso anche se non originalissimo: servizi televisivi o meglio ancora reportage giornalistici hanno già evidenziato realtà analoghe, e le centraliniste dei call center da tempo sono assurte a simbolo di precariato e sfruttamento. Da elogiare comunque la volontà di Virzì di rinfrescare la memoria collettiva, visto che nei programmi elettorali dei due principali schieramenti politici alle ultime elezioni, di lavoro si è parlato molto ma, come sempre, per i risultati “c’è sempre tempo”.

Riccardo Petito