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"Il Divo" raccontato da Sorrentino

Carte Scoperte, n. 04, luglio/agosto 2008, p. 10.

Parlare de “Il Divo”, film di eccellente fattura uscito dal forse miglior regista italiano odierno, Paolo Sorrentino, che ne firma anche la sceneggiatura assieme al giornalista Giuseppe D'Avanzo, nasconde più di qualche insidia. Da un lato infatti, si è tentati di parlare dell'Andreotti politico, dell'immagine enigmatica che mescola intelligenza strategica, cinismo e sarcasmo; un Andreotti non inedito, ma del quale mai si dice abbastanza, e che non ha gradito granché il “tributo” del regista. Anzi: alla proiezione privata, parlò di “mascalzonata”. I suoi compagni di viaggio, a partire da Cirino Pomicino (ritratto anche nella veste di festaiolo, poco nota ai più), non ne escono granché bene, ma soprattutto rimangono inevitabili comprimari della figura portante della più influente corrente del progetto democristiano. Siamo alla vigilia del suo settimo mandato di Governo (1991), e i due decenni precedenti, gli anni Settanta ed Ottanta, vengono ripercorsi con le tragiche vicende di Pecorelli, Sindona, Calvi, Ambrosoli, Falcone e, soprattutto, Moro. Nome da sottolineare perché, a detta del vero Andreotti, rimasto vera spina nel cuore per un'intera vita. Neppure le pagine di presunte collusioni con la mafia sono tralasciate dalla pellicola, e l'altrettanto presunto bacio con il boss dei boss, Totò Riina, viene rappresentato in tutta la sua forza.
Il bacio, che Sorrentino ha scelto di non omettere, svela l'intento del regista: simbolicamente, ricreare nella sua pellicola i contorni indefiniti della straordinaria vicenda politica e personale di Andreotti. “Il Divo” assomiglia visivamente alle atmosfere più oniriche e dai colori sovraesposti de “L'amico di famiglia”, che non ai precedenti “L'uomo in più” e “Le conseguenze dell'amore”. La fotografia di Luca Bigazzi è ai massimi livelli internazionali, il montaggio di Cristiano Travaglioli e le scenografie di Lino Fiorito efficacissimi, le musiche di Teho Teardo pertinenti e spiazzanti. Da tempo, Teardo ci ha abituato a ritmi ipermoderni, interprete intelligente di nuove tendenze sonore: qui la fusione con brani scelti da musica classica (Vivaldi e Sibelius) e pop più “popolare” possibile (Ricchi e Poveri e Renato Zero), è perfetta , come l'incalzante pezzo iniziale “Toop Toop” di Cassius, mentre sullo schermo scorrono sangue e stragi.
Una nota però non si può tralasciare, e riguarda l'attore protagonista, il sempre bravissimo Toni Servillo. Interprete preferito da Sorrentino sin da “L'uomo in più”, qui però risulta stranamente fuori parte: incerto tra l'interpretazione seria di Andreotti (del quale le note orecchie sono ancor più accentuate) e quella grottesca. In bilico dunque, e a tratti - soprattutto nei primi piani con monologo – suscita nello spettatore un po' di perplessità. Le interpreti femminili, Anna Bonaiuto (la moglie Livia Andreotti) e Piera Degli Esposti (la segretaria Enea, coinvolta nella realtà anche nei duri processi) sono al massimo della forma, e tutto il cast funziona a meraviglia. “Il Divo” ha vinto il Premio della Giuria al Festival di Cannes, risulta però meno spendibile all'estero dell'altro film trionfatore, “Gomorra” di Matteo Garrone: se il grandioso aspetto visivo e la magistrale regia consentono egualmente una interessante fruizione, una minima conoscenza delle vicende italiane narrate è indispensabile.

Riccardo Petito