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CINEMA

"Trionfo di "Lebanon" alla Mostra del Cinema di Venezia. Dalla giuria una scelta poco coraggiosa, ma di qualità

Carte Scoperte, n. 04, novembre 2009, p. 18.

Una vittoria prevedibile ma di innegabile qualità: “Lebanon” dell'israeliano Samuel Maoz ha convinto la non troppo coraggiosa giuria della 66. Mostra del Cinema di Venezia, capitanata da Ang Lee, conquistando l'agognato Leone d'Oro. La pellicola gioca sul sentito tema dell'orrore della guerra e dell'inutilità provata dai combattenti, ferocemente schierati di fronte a propri simili spesso coetanei, in virtù di un arcano disegno superiore. L'ambientazione è quella della prima guerra del Libano, giugno 1982. Un carro armato ed un plotone di paracadutisti si ritrovano nel bel mezzo di una azione preventiva, che nelle intenzioni dovrebbe essere di ordinaria amministrazione: perlustrare una cittadina, ostile alla resa, già duramente provata dai bombardamenti dell'aviazione israeliana. Pellicola di guerra, dunque, ma dalla particolarità indiscutibile: domina su tutto il punto di vista “interno” della squadra di carristi, composta da quattro ragazzi poco più che ventenni: l'artigliere Shmulik, il comandante Assi, l'addetto al caricamento dei fucili Herzl e l'autista Yigal.
L'indugiare sui loro ruoli non è inutile: si tratta di quattro personalità ben distinte, che emergono in tutta la loro fragilità durante l'incedere della missione. Quanto all'“esterno”, spesso composto da scene cruente, è filtrato dalla visione (non inedita, in verità, e utilizzata anche da famosi videogiochi) del mirino di precisione. Innegabile la suggestione delle immagini, che riflettono nello spettatore la spersonalizzazione con la quale sono filtrate le azioni dei protagonisti nel carro armato. Ottimo il sonoro realistico dai continui cigolii meccanici, come di massimo realismo è la forzata convivenza nello spazio ridotto che, come chiunque può immaginare, di affascinante ha ben poco.
“Lebanon” si può considerare un film autobiografico, Samuel Maoz è stato realmente soldato, sopravvissuto alla guerra ma accompagnato nel tempo da un costante ricordo di morte, come ha ammesso durante la cerimonia di premiazione al Palazzo del Cinema. Assai esplicative, a tal proposito, le note di regia: “Il 6 giugno 1982 alle 6.15 del mattino ho vissuto gli orrori della guerra sulla mia pelle per la prima volta in vita mia. Ho reagito con un istintivo gesto di autodifesa. Avevo vent'anni”.
Ancora: “Volevo trasmettere l'esperienza devastante della guerra vissuta dal cuore e dall'anima dei quattro eroi”. I rinchiusi protagonisti sono stati in qualche modo segregati dal regista anche durante le riprese, la loro preparazione infatti è avvenuta in uno spazio angusto. Straniante la scena di apertura e chiusura, un campo di girasoli dove il carro armato finisce e che, quasi un sogno, rappresenta un disperato bisogno di fuga. Quanto al futuro della pellicola, è presto per decretarne la fortuna presso il grande pubblico, benché la distribuzione sia garantita ma solo a partire dal prossimo anno. Decisione forse discutibile, in quanto “Lebanon”, privo del traino garantito da attori di fama o da un regista già affermato, avrebbe sicuramente beneficiato di una immediata presenza, “a caldo”, nelle sale cinematografiche. Riccardo Petito

Riccardo Petito